Il pozzo sfuggente

A molti sarà capitato di sentire una frase umoristica che definisce i piani elaborazioni fatte per essere disattese.
Per chi sia stato impegnato nell’applicazione di piani di monitoraggio ambientale questa battuta assume piuttosto il senso di una constatazione banale. Mi è capitato di vedere punti di campionamento indicati su una mappa con un errore di posizione sistematico che li rendeva introvabili traslandoli da una via a un’altra di un centro abitato, altri posizionati in luoghi impraticabili quali scarpate di pendenza proibitiva, altri ancora ubicati in aree militari inaccessibili.
I casi peggiori riguardano i pozzi di monitoraggio delle acque sotterranee, opere che si sviluppano nel sottosuolo e che nella maggior parte dei casi sono segnalate da un semplice tombino di modeste dimensioni.
Era chiaro che l’ultimo piano di monitoraggio che ci era toccato in sorte confermava la regola senza costituirne un’eccezione e decisi quindi di partecipare personalmente alla prima campagna di rilievi. Partimmo, io e una collega, nelle prime ore della mattina e arrivammo a destinazione nel primo pomeriggio, iniziando immediatamente la ricerca dei punti segnalati dal piano. Al termine della giornata ci trovammo stanchi e demoralizzati: non eravamo riusciti a eseguire un solo campionamento. I punti erano inaccessibili o disseminati chi sa dove in una borgata perlopiù abusiva, con vie strette e tortuose, in parte sterrate. Il morale si riprese solo a metà pomeriggio del giorno successivo, dopo l’insperato successo mattutino della caccia al tesoro. Mancavano all’appello solo due pozzi, che la mappa ubicava sullo stesso lato di una strada stranamente rettilinea. Iniziammo a sospettare che fossero stati realizzati oltre le recinzioni delle proprietà private, quando uno scambio di parole con un sospettoso residente ci fece scoprire il primo pozzo, che giaceva a un paio di metri dalle ruote del nostro furgone, coperto da qualche centimetro di polvere . Recuperato così un riferimento, orientai la mappa per individuare la posizione dell’ultimo punto di monitoraggio. La strada era interrotta da un passaggio a livello, dopo il quale proseguiva sterrata fino a un accampamento di nomadi. Il pozzo doveva trovarsi a sinistra della strada, oltre la ferrovia, in mezzo a una macchia di cespugli. La sbarra del passaggio a livello si chiuse e si aprì un paio di volte prima che riuscissi a convincere la collega ad avanzare verso l’accampamento, dal quale continuavano a provenire donne, bambini e grossi cani privi di collare che ci passavano a fianco con sguardo incuriosito. Fermammo il furgone all’altezza dei cespugli e scaricammo l’attrezzatura. Appesi alla cintura una grossa roncola, con la quale contavo di abbattere la vegetazione più grossa. Un’auto nera percorse la strada a passo d’uomo in direzione del campo e l’autista, un uomo biondo, ci squadrò attentamente senza fermare il veicolo. Terminato il campionamento, iniziammo a riporre l’attrezzatura nel furgone. L’auto nera tornò, si fermò e un uomo corpulento con una folta barba scura e il braccio destro piegato fuori dal finestrino mi chiese, guardando la roncola che penzolava dalla cintura, se avessi intenzione di ammazzarli tutti i nomadi. Per evitare una conversazione, risposi con una frase che non voleva dire niente, ottenendo una battuta di commiato e la partenza del veicolo. Eravamo stanchi e partimmo anche noi alla volta dell’albergo. Dopo dieci minuti di strada, scorsi nello specchietto laterale un’auto nera, distanziata di due o tre vetture. Quando rallentai per immettermi in una rotonda, guardai nuovamente nello specchietto e riconobbi il modello dell’auto e la chioma bionda dell’autista. Non dissi niente alla collega. L’auto nera continuava a seguirci, nonostante avessimo percorso numerose rotonde. Arrivato a un incrocio con una strada trafficata, mi fermai e notai l’arrivo di una lunga colonna di automobili. Quando la prima della fila fu a poca distanza, mi immisi nel traffico tagliandole la strada. Non ricordo se la collega commentò la manovra azzardata, ma ottenni il risultato sperato. Arrivammo in albergo senza essere seguiti.
Raccontai alla collega del pedinamento solo qualche settimana più tardi, quando l’accampamento andò a fuoco durante gli scontri tra nomadi e residenti. Nelle foto apparse sui giornali, il pozzo di monitoraggio era ora attorniato da cenere e da tronchi anneriti dalle fiamme.

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