L’esplosione delle 10:00

Le uniche consegne che ricevetti prima di recarmi presso la sede del cliente erano che si trattava di un caso di esplosione e che avrei dovuto semplicemente prendere visione di quanto presente, assumere eventuali informazioni e riferire al mio ritorno.
Avrei evitato molto volentieri quell’incarico, perché non avevo alcuna esperienza di esplosivi e perché non riuscivo a convincermi che tra le parole “esplosione” e “semplicemente” potesse esistere una qualche affinità. Entrato negli uffici della ditta, uno dei responsabili tecnici mi accompagnò nel magazzino in cui era stato trasportato il macchinario esploso. Il locale sembrava un set cinematografico, con tanto di riflettori, videocamera professionale montata su cavalletto e un pubblico numeroso disposto intorno a una grossa scatola di metallo sigillata con volute di nastro adesivo bicolore.
Assecondare i primi pensieri e darsi alla fuga sarebbe stato assolutamente indecoroso, mi rassegnai così alle presentazioni, dalle quali risultò che due degli spettatori erano i titolari della ditta. Mi descrissero la funzione del macchinario e mi spiegarono che l’esplosione si era verificata in un esercizio commerciale alle dieci del mattino senza causare grossi danni, nonostante il boato avesse provocato l’evacuazione di un vicino supermercato. La conseguenza più preoccupante riguardava la dipendente dell’esercizio seduta a fianco del macchinario prima dell’esplosione, che si trovava ora, per quanto fisicamente incolume, in stato di shock.
Il mio senso di inadeguatezza non trovò alcun conforto nell’aspetto della scatola metallica, che sembrava sostanzialmente integra. Solo dopo la rimozione dei numerosi giri di nastro, eseguita rigorosamente sotto l’occhio attento della videocamera, emersero gli effetti dell’esplosione: lamiere spesse sei millimetri deformate e addirittura strappate in un paio di punti. In quel momento la curiosità mise a tacere ogni altra sensazione, mi inginocchiai, seguito da un paio di spettatori interessati, e infilai la testa nella scatola. A dispetto dei segni impressionanti visibili all’esterno, l’interno appariva integro e pulito. Cominciai allora a ispezionare ogni singolo elemento e trovai solo due particolari danneggiati, una scatolina leggermente deformata a metà altezza di una parete laterale e i frammenti trasparenti di un nastro di materiale plastico sul fondo del macchinario. In nessun punto però, neanche sui frammenti di plastica, fui in grado di trovare segni di combustione. Il mistero accese la mia curiosità al punto da estraniarmi dai numerosi spettatori ancora presenti. Mi ripetei più volte che solo gas leggeri possono esplodere senza lasciare fuliggine, cominciando a immaginare improbabili sviluppi di gas dai materiali plastici. Ripresi allora contatto con il mondo, chiedendo dettagli sulle temperature interne di esercizio, sulla composizione degli elementi di plastica e di gomma, sulle parti in movimento e sulla funzione dei diversi componenti elettrici, i sospettati principali per la necessaria fonte d’innesco. Mentre si accumulavano puntuali le risposte, esaminai rapidamente gli aspetti quantitativi di uno sviluppo di gas esplosivi, tutti inesorabilmente contrari all’ipotesi di una produzione interna da chissà quale materiale.
Pensai a come la situazione ricordasse la trama di un romanzo giallo, dove l’indizio decisivo ha spesso a che fare con la misura del tempo. E poiché una delle informazioni ricevute riguardava in effetti l’orario dell’evento, iniziai a immaginare la dipendente dell’esercizio commerciale alle 10:00, in un momento di tregua dopo l’afflusso continuo di clienti nelle prime ore della mattina, lamentarsi con i colleghi per l’odore del macchinario, particolarmente caldo dopo ore di ininterrotto funzionamento, e intervenire in qualche modo per coprire o eliminare la fastidiosa sensazione. Giunto a questo punto della ricostruzione immaginaria, mi voltai verso uno degli spettatori e chiesi se fosse stata definita qualche procedura per la pulizia del macchinario. Rispose prontamente un giovane ingegnere: non esisteva alcuna procedura, ma insieme alla macchina veniva fornito un prodotto spray per la rimozione della polvere. Ne chiesi un campione e lessi mentalmente sull’etichetta della bomboletta “propano”. Per quel che mi riguardava, il giallo era stato risolto, peraltro in modo piuttosto canonico, a partire dall’ora del misfatto. Mi congedai con le parole strettamente necessarie, fedele alle consegne, e abbandonai il set.
Quando salii in macchina erano le 18:00. Accesi il motore a scoppio alimentato da idrocarburi meno pericolosi del propano e iniziai il ritorno verso casa. L’indomani avrei preparato una relazione su quanto osservato e su quanto ascoltato.

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